di Barbara Polettini Coffani, 5-1-2014.
L’Arte di Monica Seksich è sorprendente perché è viva. Osservando le tele, si percepisce qualcosa che passa dall’Artista al pennello alla tela, e dalla tela all’osservatore. Si sente pulsare, vibrare, palpitare, e poiché ogni dipinto ti fa venire voglia di avvicinarti di più e rimanere a guardare e ti stuzzica a vederne altri per scoprire ancora, credo anche che quest’Arte veicoli Eros.
Mi sono chiesta cosa Monica Seksich voglia comunicare e ho cominciato ad osservare il suo lavoro. Non ho potuto fare a meno di cogliere delle trasformazioni nel tempo, da un periodo all’altro. Il filo conduttore rimane l’indagine sull’animo umano, ma è un’indagine che l’Artista sembra compiere utilizzando se stessa per supporto e testimone di ciò che ha in mente e che sperimenta, facendolo passare attraverso di sé, testandolo e, in seguito, rendendolo al mondo. Il risultato finale, dopo tanta catarsi, è inevitabilmente una completa trasformazione dello sguardo sulle cose e, di conseguenza, del modo di proporle. L’Arte come la sua trasforma la realtà.
In quadri più datati c’erano spesso soggetti di profilo o di tre quarti. Mostravano un occhio solo, un solo lato del viso, oppure se erano di fronte, avevano il volto parzialmente coperto con una ciocca di capelli, una macchia di colore, una zona d’ombra. Ora i visi sembrano esporsi allo sguardo apertamente, con entrambi gli occhi che fissano i nostri dalla tela, come per dirci qualcosa.
Prima i colori erano accesi, forti, densi, smuovevano il sentire. La generosità del colore, specialmente del rosso, faceva pensare ad una sorta di emorragia o ad un’esplosione delle emozioni, o forse all’esigenza di dare spessore e consistenza, così come l’uso dei contorni neri o della copertura in foglia d’oro. Adesso il rosso è utilizzato in maniera puntuale. È il rosso del punto del cuore, o del filo che sorregge la chiave per entrarci, o di un’intuizione che si accende fulminea, ed è contenuto, concentrato con parsimonia in quel tot che basta per “evocare” in chi osserva, piuttosto che per “inondarlo”. Nel bianco e nel grigio dominanti, le immagini sembrano velate, come attenuate da una nebbia delicata. L’Artista non definisce più, ma suggerisce. Prima ti avvolgeva e ti trascinava in spirali di seduzione, ora ammicca ed è come una bimba che chiede “Giochi con me?”
Due sono i nuovi motivi ricorrenti: l’ingranaggio e il due. Forse l’ingranaggio è il simbolo del movimento, il meccanismo che sta dietro a ciò che vediamo muoversi. Svelandolo, l’artista ci vuol dire di essere andata oltre le apparenze? Forse il velo che percepiamo è quello oltre al quale è arrivata la sua Arte, che comincia quindi a svelare i meccanismi nascosti dell’esistenza?
Il motivo del due attraversa tutta la sua opera nuova, in diretto rapporto con il tema della relazione, realizzabile solo andando oltre se stessi. È il due del dittico Aqua foemina Mundi, il due delle gambe, o della donna e dell’ uomo insieme, o le due rotelline del mezzo di locomozione-giocattolo del minuscolo cavaliere di Aphrodite is waiting, o della coppia di ciglia svolazzanti di Fiaba meccanica 2.
Certo, la ricerca sul mondo del femminile è una costante; solo che si tratta ormai di “femminile in relazione a”, anzi, forse di relazione vera e propria, indefinita e inafferrabile per sua stessa natura. Non più, quindi, particolarità, non più parti del corpo volte ad individuare in maniera inequivocabile e determinata precisi aspetti della donna, com’erano prima lo sguardo in Circe, i capelli in Maddalena, le braccia in Khali Khali Khali, ecc. Ora la totalità vince sul parziale e domina la sua opera il Femminile tout court, intero e integro, completo, allo stato puro. E se prima l’Artista sembrava voler rappresentare l’effetto che l’energia ha su una persona e il modo in cui si trasforma chi ne è attraversato, ora, di quest’energia, sa rendere il fluire universale.
Non c’è più il bisogno di esprimersi/identificarsi in un solo modo del femminile (di volta in volta seduttivo, irato, maliardo…); l’Artista sembra ormai libera dal bisogno di incarnare una forma e, pertanto, de-limitarsi. Anzi: ora si esprime/ sosta in un femminile più vago e sereno, di conseguenza più aperto, disponibile, ricettivo. E in tale clima di leggerezza e ironia, grazie a questa libertà ritrovata, dalle sue tele ora traspira la sensazione di un leggerissimo, universale sorriso.